1979
I believe in never, I believe in all the way.
Sono nato il 24 Agosto.
24, 8.
A molte persone i numeri pari non piacciono.
A me piacciono molto.
Mi danno un senso di serenità.
Anche i numeri dispari mi piacciono.
Perchè sono disequilibrati e quindi mi sembrano più fertili, perchè alla ricerca di qualche altro numero che li completi.
Eppure, diciamo così, ho una predilezione per i pari.
Avrei voluto nascere il 24 agosto del 1980.
Mi è sempre parso che sarebbe stato perfetto.
Tra l’altro contare gli anni a partire da una data tonda sarebbe stato facilissimo.
Quanti anni hai? dunque, siamo nel 2000: 20!
Quanti anni avrai nel 2035? 35 + 20: 55!
Facilissimo!
Poi, invidio le persone nate nel 1980. Qualcuno mi ha detto che sono persone da branco, costruiscono delle compagini solidali fra di loro, sono socievoli, sono rotonde, insomma, come il loro anno di nascita.
Eppure, nonostante tutti i miei desideri post-nascita, sono nato nel 1979.
Che, a pensarci bene, non è troppo difficile da gestire: basta pensare di essere nati nell’80 e poi aggiungere una unità.
Eppure cambia tutto.
Ho passato anni a dirmi che fortunatamente non ero un figlio dei degenerati anni 80, che se non ricordo male c’erano dei tipi con il mullet.
E le spalline giganti.
Ecco, le spalline giganti stanno tornando, no?
Però non sono molto interessanti.
E poi leggevo Topolino e Topolino era un paninaro, negli anni 80.
Beh, essere nato negli anni 70 mi pareva potesse avere una certa dignità.
Ma, sinceramente, era una scusa.
Essere nati nel 1980 poteva parificare una vita intera.
Poi, il 23 ottobre del 1995, un cantante rasato a zero (1995, rasato a zero, trovate l’incongruenza) canta una canzone lieve, molto piana, che ha un crescendo a poco più di metà della traccia, per qualche secondo.
Dice:
We feel the pull in the land of a thousand guilts
And poured cement, lamented and assured
To the lights and towns below
Faster than the speed of sound
Faster than we thought we’d go, beneath the sound of hope.
Ecco: iniziava a descrivere situazioni riconoscibili, un po’ retoriche, ma che ben si adattavano ad un momento di irrequietezza.
Perchè nel 1995 non avevamo 15 anni, come quelli del 1980.
Ne avevamo 16.
L’età in cui negli Stati Uniti si può prendere la patente. Esattamente come i protagonisti del video legato alla canzone.
E quindi la città, il cemento, la velocità: tutto acquisiva un senso.
Soprattutto acquisiva un senso la nostra età, il nostro dover continuare ad aggiungere un anno ai nostri conti.
Quelli del 1979 sono dei disaggregati, gente che non si riesce a costruire un branco compatto, che erige inutili barriere entro le quali rinchiudersi.
Però, dal 1995, abbiamo una canzone che ci aggrega, che si intitola come quell’anno sfigato in cui siamo nati: 1979.
E si trova in uno dei più begli album che siano mai stati pubblicati, Mellon Collie and the Infinite Sadness, degli Smashing Pumpkins.
Questo ci può bastare, per noi nati nel 1979.
Poi, dato che quella follia incontrollata di album contiene 28 canzoni e dura più di 120 minuti e ti colma l’animo con una serie di canzoni commoventi, potremmo passare molte ore a decidere qual è la canzone più bella (Thru The Eyes Of Ruby, comunque).
Volevo scrivere qualcosa su questo album, che è stato la pietra tombale di un certo tipo di rock che ha riempito quasi tutti gli anni 90 e che ha chiuso una epoca di feroce, ma incontrollata, ribellione con una struggente malinconia.
Credo, però, che 1979 possa raccontare, con questi quattro numeri, l’essenza di una generazione, che non ha mai ben saputo descriversi e per questo si trova spesso in difficoltà nel definirsi nella società.
Pur avendo la possibilità di un inno perfetto.